Il Licenziamento individuale

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Cos’è il licenziamento? Quali sono le motivazioni che giustificano un licenziamento? Come si arriva al licenziamento? Cosa posso fare per tutelarmi?

I LICENZIAMENTI INDIVIDUALI 

Il rapporto di lavoro può estinguersi in diversi modi:

  • per recesso del lavoratore (con le dimissioni) o del datore di lavoro (con il licenziamento);
  • per risoluzione consensuale, morte del lavoratore, per impossibilità sopravvenuta o forza maggiore.

Il licenziamento è un negozio unilaterale e recettizio, il quale produce l’effetto di interrompere il rapporto di lavoro proprio nel momento in cui è portato nella sfera di conoscibilità del destinatario. In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6845 del 2014.

I REQUISITI SOSTANZIALI DEL LICENZIAMENTO

Nei rapporti a tempo indeterminato il licenziamento può avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo oggettivo e soggettivo.

GIUSTA CAUSA:

per la sua definizione si guarda l’art. 2119 c.c. per cui si intende tale quella che non consente la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro (ad esempio ipotesi di gravi violazioni del lavoratore: furto nella cassa da lui gestita) o anche per comportamenti che il lavoratore ha al di fuori del rapporto di lavoro, ma che ledono il rapporto di fiducia tra lui e il datore di lavoro.

In tali ipotesi non vi è l’obbligo di dare il preavviso.

Si possono indicare anche altri esempi in base ai quali la giurisprudenza qualifica comportamenti che legittimano una giusta causa di licenziamento: furto, aggressioni ai colleghi o ai superiori, impossessamento illegittimo di documenti aziendali e, per quanto riguarda fatti extra lavorativi: reati commessi dal lavoratore, sempre che ciò leda la fiducia tra egli e il datore di lavoro.

Trattandosi della forma più grave di licenziamento, la giurisprudenza evidenzia che deve applicarsi un giudizio di sussidiarietà, per cui il licenziamento per giusta causa viene legittimato solo se le altre forme di licenziamento sono inadeguate.

GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO:

consiste in un notevole inadempimento del lavoratore degli obblighi contrattuali. Ad esempio se il lavoratore non è diligente, corretto o divulga informazioni aziendali.

Tuttavia è un inadempimento meno grave della giusta causa.

GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO:

in tal caso il licenziamento non viene comminato per un inadempimento del lavoratore, ma per motivi che riguardano l’azienda, quali:

  • l’attività produttiva;
  • l’organizzazione del rapporto di lavoro;
  • inidoneità fisica del lavoratore sopravvenuta (ad es. se diventa disabile e se non può essere impiegato in altre mansioni);
  • perdita di requisiti soggettivi (come il permesso di soggiorno per gli stranieri o il porto d’armi per la guardia giurata);
  • carcerazione preventiva.

In tal caso c’è l’obbligo del preavviso o di indennità sostitutiva del preavviso, come anche nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

L’onere della prova della sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo spetta al datore di lavoro, il quale deve provare:

  • la ragione oggettiva posta alla base del licenziamento;
  • il nesso causale tra detta ragione e il licenziamento;
  • l’inutilizzabilità del rapporto di lavoro in altre mansioni (obbligo di repechage, ovvero di ripescaggio).

REQUISITI FORMALI DEL LICENZIAMENTO

Il licenziamento per essere legittimo deve necessariamente:

  • essere fatto per iscritto;
  • contenere le motivazioni (se non ci sono le motivazioni, esse possono essere richieste dal lavoratore entro 15 giorni e date dal datore nei successivi 7 giorni).

L’obbligo di motivazione è stato introdotto nel 2012, con la riforma Fornero. I motivi devono essere specifici e mai generici.

Nel caso in cui il licenziamento non sia comunicato per iscritto e/o non vi sia la motivazione, esso è inefficace, e, per parte della dottrina, nullo.

IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO

Tale licenziamento è determinato da ragioni di credo politico, di sesso, di credo religioso, di razza, di handicap, di età ed è nullo.

IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Con la riforma Fornero è stato radicalmente mutato il quadro normativo afferente al licenziamento disciplinare, vale a dire al licenziamento intimato a seguito del procedimento disciplinare previsto dall’ art. 7 dello Statuto dei  Lavoratori.

Tale disposizione regola il procedimento per giungere all’adozione di un provvedimento disciplinare, tale percorso consta di tre fasi:

  • la contestazione al lavoratore del fatto disciplinarmente rilevante;
  • l’esperimento, da parte del lavoratore, delle proprie argomentazioni difensive;
  • l’ eventuale adozione del provvedimento di licenziamento.

IL PERIODO DI IRRECEDIBILITA’

Il licenziamento incontra i seguenti limiti, cioè il lavoratore non può essere licenziato se:

  • è in malattia, infortunio, gravidanza, ha prole piccola o è in servizio militare: in tali ipotesi il datore di lavoro può licenziare il lavoratore solo dopo che sia trascorso il periodo protetto, stabilito dai contratti collettivi;
  • il lavoratore ha appena contratto matrimonio o subito prima di contrarlo;
  • la lavoratrice madre (nel periodo del congedo per maternità o finchè il figlio non compie 1 anno di vita).

Tuttavia, nei suddetti periodi, può essere comminato il licenziamento per giusta causa. 

L’IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

Il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione. La previsione di una decadenza si spiega con la necessità di garantire un minimo di certezza al potere organizzativo del datore di lavoro, evitando che questi resti esposto per lungo  tempo al rischio di reintegrare il lavoratore.

Il licenziamento va impugnato con un atto scritto con cui il lavoratore manifesta inequivocabilmente al datore di lavoro la volontà di contestare la legittimità del licenziamento.

Nel caso in cui il lavoratore non venga richiamato a lavorare, può proporre ricorso al Giudice del Lavoro territorialmente competente entro i successivi 180 giorni.

Prima di rivolgersi al giudice si può anche scegliere di effettuare una conciliazione dinanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro che prima era obbligatoria, ma oggi non più.

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